The Athletic sbarca sul New York Times

THE ATHLETIC – La pandemia da Covid-19 ha costretto numerose competizioni all’annullamento o al rinvio. Non si sono salvate neppure le Olimpiadi estive di Tokyo che hanno subito lo slittamento di un anno, tenendosi così nel 2021 e non nel 202, come da calendario. I rimandi però hanno fatto sì che nel giro di due anni il Mondo potesse vivere un agglomerato di gare internazionali. Lo spirito sportivo sembra essere incrementato e sono state miliardi le persone a unirsi sui divani di casa per tifare e soffrire con i propri portacolori. Ma la stampa come racconta lo sport?[

La storia di The Athletic

Nel 2015 due dipendenti dell’app di fitness Strava non riescono a trovare un solo giornale sportivo che secondo loro abbia la giusta qualità. Per questo, come racconta Francesco Oggiano:

“decidono di fare un prodotto inedito. Queste sono le caratteristiche che definiscono da subito: niente titoli clickbait, solo storie e reportage di altissima qualità, scritti da firme sportive con un seguito personale di fan preesistente. Completano il format di successo editoriale la scelta di non avere pubblicità e di avere impostato un modello basato sugli abbonamenti: circa 9 dollari al mese per leggere tutto”.

Il giornalista italiano lo riporta nella sua newsletter, insieme a tutto il percorso che compiono Alex Mather e Adam Hansmann per dare vita al loro progetto: The Athletic.

Un sogno che diventa realtà

Quando iniziano la loro avventura con The Athletic, Mather e Hansmann hanno tre obiettivi, sia per il breve che per il lungo termine. Dal 2016 (anno della prima pubblicazione del giornale) al gennaio 2022 sono già riusciti a portarli a termine già due. Infatti nella loro mente The Athletic doveva spopolare nel Regno Unito, essere comprato dal New York Times e diventare “il Netflix dello sport”. Nel giro di 5 anni il sito ha raggiunto 1.2 milioni di iscritti, che hanno permesso di arrivare a 80 milioni di fatturato e l’assunzione di 600 dipendenti.

Ma la notizia di cui si parla in questi giorni è l’acquisizione da parte del New York Times. La testata americana ha infatti acquistato l’ormai sito di sport più completo al Mondo, per 500 milioni di dollari. L’accordo prevede che i due fondatori, Alex Mather e Adam Hansmann, continueranno a guidare l’azienda rispettivamente come direttore generale e co-presidente e direttore operativo e co-presidente.

Nella sua newsletter Digital Journalism, Francesco Oggiano, commenta così l’operazione di acquisto.

«Durante la pandemia, arrivano gli squali, che vogliono giustamente accaparrarsi il sito e i suoi abbonati. Ma a vincere è il New York Times, che sborsa mezzo miliardo. Credo sia l’acquisizione più grande della storia del Times, dopo quella del Boston Globe nel 1993 (1 miliardo di dollari, ma finì malissimo…). L’accordo ha senso. Il Nyt ha 1 miliardo di dollari cash. Durante tutta la pandemia ha fatto una serie di acquisizioni più piccole (es: Audm, Serial, HelloSociety, ecc.). Ha 7,6 milioni di abbonamenti digitali totali, e punta ad arrivare a 10 milioni entro il 2025. Con l’acquisizione del The Athletic e dei suoi 1,3 milioni di abbonati, il Nyt è arrivato già a 9 milioni e si prepara a raggiungere anzitempo l’obiettivo di 10 milioni. I due startupper rimarranno dentro The Athletic e il sito rimarrà separato dal Times editorialmente».LEGGI ANCHE ---> Ferrari e Velas Network AG, la partnership per gli NFT

Nasce Peas, l'app con cui Matteo Ward fa parlare i tuoi vestiti

PEAS MATTEO WARD - Se i tuoi vestiti potessero parlare? Non so se lo sai ma è possibile grazie a Peas-Product environmental accountability system, un’app innovativa che integra tracciabilità e gamification. P.E.A.S – Product Environmental Accountability System il webinar di Matteo Ward

Il 31 gennaio 2022 si è tenuto P.E.A.S – Product Environmental Accountability System. Nel corso del webinar è stato presentato il primo sistema intelligente in grado di unire tracciabilità sociale e ambientale alla gamification. Con Peas ambiente, sostenibilità e gioco si incontrano. 

Pea, nata dall’idea di Matteo Ward è una tecnologia che vuole rendere accessibili tutte le informazioni che riguardano i capi di abbigliamento che si trovano già nel nostro armadio o che vogliamo acquistare. In particolar modo ci dà accesso alle informazioni relative all’impatto ambientale del capo che vogliamo tracciare e anche come verrà ammortizzato nel tempo. Il tutto è permesso da un algoritmo a cui accediamo tramite un'app mobile. Matteo Ward ha dichiarato di aver pensato a Peas dopo aver saputo che in media un vestito viene buttato dopo averlo indossato per sole 7 volte. Ciò, unito ad altri importanti dati, fa capire quanto strada ancora ci sia da fare sul tema sostenibilità nella vita quotidiana. 

Le parole di Matteo Ward e gli altri relatori di Peas

“La si può definire innovazione solo quando è sostenibile e impatta positivamente sulle persone, sulla comunità e sul nostro ambiente”, afferma Mohamed Deramchi, ceo e founder di WWG.

“Ogni secondo l’equivalente di un camion carico di vestiti viene bruciato o gettato in discarica. I problemi sociali e ambientali causati dall’industria della moda derivano dal fatto che noi tutti siamo stati indotti a disconnetterci emotivamente dai capi che compriamo”, dichiara Matteo Ward, ceo di WRÅD e ideatore di P.E.A.S.

“Da molto tempo Regione Lombardia sta lavorando su una strategia di sviluppo sostenibile per raggiungere gli obiettivi dell’agenda 2030. Ad oggi sono stati finanziati 17 progetti tra cui, appunto, P.E.A.S.”, afferma la Dott.ssa Negroni di Regione Lombardia.

“Tutti da anni ci ricordiamo dell’importanza di amare i nostri vestiti e di viverli a lungo per avere un impatto positivo sull’ambiente. Da questa necessità nasce l’idea di creare P.E.A.S, un ‘gioco intelligente’ per contrastare in modo innovativo la sovrapproduzione e sovraconsumo di vestiti”, conclude Ward.

“Dai risultati della nostra ricerca scientifica sulle cause della non sostenibilità del sistema moda e lusso emerge come sia impossibile raggiungere gli obiettivi di sostenibilità di lungo termine senza il contributo attivo di tutti gli attori coinvolti. Pensare che la responsabilità del cambiamento sia in capo ad un determinato soggetto della filiera moda è sbagliato e potenzialmente anche controproducente”, afferma Alessandro Brun, professore del Politecnico di Milano.

E Fausto Chiappa, ceo di 1TruedID, continua: “Dopo aver studiato e analizzato cosa offriva il settore e quali tra le blockchain esistenti si adattava alle nostre esigenze, abbiamo deciso di creare una nostra blockchain: pubblica, economica e a basso consumo energetico”.LEGGI ANCHE ---> Nft e criptovalute tra NBA e calcio